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Siamo così occupati a definire noi stessi con qualità positive derivanti dal mondo della performance e della produttività da non renderci conto di quanto attivamente siamo inclini a tralasciare tutti gli aspetti di serenità ed entusiasmo che potremmo vivere quotidianamente. In occasione della giornata internazionale della felicità, celebrata il 20 marzo, proviamo a contrastare insieme l’effetto negativo dello stress, dei pensieri ricorrenti e intrusivi, delle preoccupazioni e rimuginii che abitano le nostre menti e i nostri cuori. Per farlo, dobbiamo prima chiederci che rapporto abbiamo con l’essere felici, con la possibilità di affrontare le nostre paure, di guardare in faccia i temi ansiosi delle nostre vite. Mettiamo tutto sotto al tappeto? Minimizziamo i problemi e svalutiamo gli effetti sul nostro comportamento? Ci giudichiamo per non essere in grado di andare oltre?
Dalla ricerca e dalla letteratura psicologica sappiamo quanto l’essere umano disponga di una certa quota di energie per affrontare il carico emotivo delle situazioni stressogene che vive, ma abbiamo contezza anche dell’elevato rischio di sovraccarico e di tilt quando le risorse scarseggiano.
Essere felici è un processo, che parte dal voler fronteggiare le difficoltà e arriva alla libertà di poterle descrivere con parole che le sgonfino, passando attraverso un nuovo sguardo su di sé.
Per farlo, vi propongo alcuni spunti di riflessione, da condividere con le persone che abitano i vostri spazi e le vostre menti o da esplorare in autonomia quando siete pronti a dedicare tempo a voi stessi.
- Pensare alla felicità non significa sottrarsi alle responsabilità
Siamo talmente abituati a pensarci di corsa, sopraffatti, al limite delle nostre energie che accarezzare l’idea di essere felici ci fa sentire in colpa, lavativi, poco orientati alla produzione di valori. Non è così, la psicologia e la ricerca ce lo dicono a gran voce: dedicarsi a ciò che ci rende felici migliora la concentrazione, la percezione di sé, il benessere psicofisico globale. - I pensieri ricorrenti non vanno scacciati, ci indicano la strada
Tutti noi siamo portatori di pensieri intrusivi. Si insinuano nelle nostre giornate, sottraggono energie, ci portano stress e confusione. Evitarli o tentare di reprimerli ha lo stesso effetto del cancellare la strada dalla mappa e trovare scorciatoie di testa nostra. Vanno guardati, messi sotto la lente di ingrandimento per il tempo necessario a capire con quali risorse gestirli. Prima è meglio, poi è troppo. - Non è vero che se non ci pensi tu non lo fa nessuno
Il contesto familiare, culturale e sociale in cui siamo immersi ci vuole supereroi, ma in silenzio. Abbiamo imparato a contare per gli altri facendo, sentendoci unici, indispensabili, ma per questo anche molto soli. Lasciare all’altro, anche quando piccolo e inesperto, la possibilità di occuparsi dei suoi impegni e delle sue incombenze ci aiuta a ridimensionare le fatiche e le onnipotenze. - Quanta paura hai delle tue emozioni negative?
Essere felici non è mai una questione di ingenuità o di leggerezza infantile. Fermarsi a riflettere su come ritrovare gioia di vivere ed entusiasmo implicano partire dal perché li abbiamo persi. Significa fare i conti con la tristezza e spesso con la rabbia che colorano le nostre giornate. E questo fa di sicuro più paura dell’abitudine allo stress a cui ci sottoponiamo continuamente. - Stress, preoccupazioni, sovraccarico si trovano nell’immagine che hai di te
La realtà è una questione di sguardi, di punti di vista dai quali osserviamo le persone e le loro relazioni. La narrazione di noi stessi al limite delle energie, pronti a esplodere da un momento all’altro è solo una delle possibili descrizioni che ci riguardano. Capire perché sia preponderante può essere l’inizio di un percorso di conoscenza in cui sentirci efficaci. - Fare al posto degli altri non ti garantisce il loro amore
Ci ripetiamo in continuazione quanto sia faticoso essere d’aiuto per tutti, quanto poco si venga riconosciuti, quanto, anche al lavoro, ogni gesto sia dato per scontato. E se iniziassimo a chiederci cosa davvero ci aspettiamo da quella riconoscenza? Quanto la frustrazione di non essere visti abbia a che fare invece con il desiderio innato di essere amati? Ecco, non è sostituendoci agli altri che ci faremo amare e saremo felici. - La felicità non la si merita, la si vive
La vita non è una gara a ostacoli o un livello di un videogioco in cui vincere un premio. È un percorso assolutamente personale, in cui non dobbiamo meritarci una gioia, un momento felice, pensarci soddisfatti. Essere felici fa parte della natura umana, ne è una condizione per la sopravvivenza e per la qualità del nostro futuro e delle relazioni con le persone che amiamo. Non è accessoria, bensì una necessità di cui essere responsabili in prima persona.
Costruire nuovi significati a partire da queste riflessioni è il primo vero traguardo da raggiungere in un’ottica di felicità e di gioia che possono essere non solo scoperte, ma addirittura ritrovate.
Dr.ssa Valeria Locati
Psicologa e psicoterapeuta